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Convegno dei Giovani imprenditori dell’industria sul tema: “Un mare d’Europa. Nuove istituzioni, nuovi confini per un’Italia leader nel Mediterraneo”

Convegno dei Giovani imprenditori dell’industria sul tema: “Un mare d’Europa. Nuove istituzioni, nuovi confini per un’Italia leader nel Mediterraneo”
Santa Margherita Ligure, 6 giugno 2003

Ringrazio innanzitutto il Presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, Anna Maria Artoni, per avermi invitato a partecipare a questo oramai consueto ed importante appuntamento. La realtà dei Giovani imprenditori costituisce un punto di riferimento importante per il nostro Paese. E' un luogo in cui si incrociano e si confrontano idee e proposte che - oltre a segnalarsi per l'elevata qualità scientifica e culturale - hanno il pregio di radicarsi nella pratica quotidiana della responsabilità di impresa e sono dunque il frutto di scelte complesse e di grande impatto sociale ed economico.

Indirizzo un cordiale saluto alle illustri personalità presenti: ai Vice Ministri Micciché e Urso, agli onorevoli Enrico Letta e Gianni De Michelis, al sindaco Veltroni.f

Tra meno di un mese avrà inizio il semestre di presidenza italiano dell'Unione Europea. L'Italia è chiamata a svolgere un ruolo decisivo: traghettare l'Europa da una fase di transizione politica ed economica verso un futuro di stabilità, fondato su un'architettura istituzionale solida ed un'identità politica consapevole e coerente. Auspichiamo tutti che la conclusione di questo mandato - che costituisce per il nostro Paese una preziosa opportunità - possa essere salutata con il riconoscimento di un pieno successo.

Constato che nel riconoscimento tributato oggi su Repubblica dal Vicepresidente Amato nei confronti del rappresentante del Governo italiano alla convenzione, Gianfranco Fini, si materializza finalmente una lodevole eccezione al comportamento abitualmente in uso, quello cioè di far prevalere sempre e comunque, spesso anche nelle sedi internazionali, gli elementi di divisione e di lacerazione tra le forze politiche italiane.

In realtà si deve procedere assieme perché il semestre sia un successo prima di tutto dell'Italia.

Naturalmente, molti sono gli interrogativi, le aspettative, i problemi aperti. Tra di essi, un ruolo centrale riveste la strategia che il nostro Paese saprà mettere in campo per far sì che l'imminente allargamento dell'Unione ad Est sia condotto secondo una linea di equilibrio e di continuità, anche al fine di evitare che l'asse europeo si sposti verso logiche prevalentemente continentali.

In questo contesto, l'Italia dispone di grandi risorse, legate alla sua particolare collocazione geografica, ma anche alla sua vocazione storica e culturale al centro del Mare nostrum: un utilizzo attento e consapevole di queste risorse sarà decisivo per preservare all'identità europea la sua essenziale dimensione mediterranea.

Occorre in particolare rilanciare il partenariato euromediterraneo, recuperando lo spirito originario del processo di Barcellona, con l'obiettivo di creare - proprio attorno al Mediterraneo - un'area di pace e di stabilità, mediante la progressiva apertura del mercato e la diffusione della cultura della comprensione e del rispetto reciproco tra i popoli.

Il Mediterraneo non può più essere considerato nel quadro tradizionale delle relazioni Nord-Sud; è un soggetto unitario, le cui parti hanno la consapevolezza di condividere un destino comune.

Intorno alle sponde di questo mare si giocano del resto sfide decisive per il futuro dell'intera comunità internazionale. Gli spiragli di soluzione del processo di pace in Medio Oriente che sembrano aprirsi in questi ultimi giorni consentono all'Europa di recuperare una dimensione di equilibrio, in particolare nei rapporti con gli Stati Uniti. Nel recente vertice del G8 sono emersi importanti segnali di ricomposizione: Europa e Stati uniti debbono procedere assieme, poiché l'antiamericanismo non appartiene in alcun modo al codice genetico della nostra cultura politica.

Richiamavo all'inizio le aspettative legate al ruolo esercitato dall'Italia nella difesa della dimensione mediterranea dell'Europa, soprattutto con l'approssimarsi di scadenze decisive, quali l'adozione della carta costituzionale europea.

E' chiaro che la rilevanza di tale ruolo è strettamente legata alla misura in cui il nostro Paese sarà in grado di recuperare pienamente la sua competitività e la sua capacità di essere concorrenziale con gli altri; condizioni queste decisive per porsi come interlocutore affidabile e pesare di più sullo scenario internazionale.

Tutto questo richiede, come è ovvio, un forte rilancio dell'intero sistema produttivo italiano, in un quadro di maggiore dinamismo e di più decisa valorizzazione delle numerose potenzialità possedute dal nostro Paese.

I segnali emersi dalle considerazioni finali svolte dal Governatore della Banca d'Italia lo scorso 31 maggio e la stessa relazione presentata all'ultima Assemblea di Confindustria dal Presidente D'Amato, restituiscono l'immagine di un sistema economico in declino.

Tale situazione - e su questo bisogna essere chiari - è una condizione oggettiva, condivisa a livello europeo ed internazionale: credo sarebbe controproducente lasciare margini di ambiguità in proposito. E' un declino che viene da lontano. Chi, come me, riveste da tempo responsabilità nella vita pubblica sa bene che un certo periodo di consociativismo, negli anni '80, ha in questo stato di cose responsabilità storiche: la spesa sociale si è progressivamente tramutata in spesa assistenziale e per troppo tempo si sono distribuiti benefici a tutti, anche a chi non ne aveva bisogno, con il risultato di dilatare in modo intollerabile i conti dello Stato.

E' dunque legittimo, ed aggiungo auspicabile, parlare con chiarezza delle difficoltà esistenti e richiamare con forza le istituzioni, gli operatori economici, le parti sociali sull'urgenza di una politica di rilancio e di risanamento della nostra economia, in grado di assecondare le prospettive di ripresa indicate per il 2004.

Non ritengo però possa giovare ad alcuno ridurre la portata di questi problemi ad una sterile ricerca di responsabilità - pregresse o presenti - di questo o di quel Governo, delle parti sociali piuttosto che del mondo dell'impresa.

Il peso di un panorama economico asfittico e stentato, che sconta tra l'altro gli effetti negativi di una congiuntura internazionale sfavorevole, presuppone invece un impegno determinato di tutti decisamente rivolto verso il futuro.

Non c'è tempo per la caccia alle streghe e non c'è spazio per le strumentalizzazioni politiche. La condizione essenziale per un effettivo rilancio del nostro Paese ci impone di agire con tempestività e, soprattutto, tutti insieme. Sappiamo che, storicamente, il nostro Paese sa dare il meglio nei momenti di maggiore difficoltà, facendo leva sulle sue straordinarie risorse di operosità e di eccellenza professionale.

Non spetta a me, per il ruolo istituzionale che ricopro, dare indicazioni in merito alle specifiche soluzioni ed agli indirizzi politici da assumere al riguardo. Ritengo tuttavia opportuno richiamare alcuni snodi che costituiscono oggettivamente un passaggio obbligato per restituire al sistema economico del nostro Paese un adeguato livello di crescita e di competitività.

Sin dallo scorso anno, proprio qui a Santa Margherita Ligure, ho posto la questione del sistema pensionistico. Il carico della spesa previdenziale costituisce un freno gravissimo al pieno sviluppo del nostro Paese.

Esso pone problemi assai seri sotto il profilo della sostenibilità degli equilibri della finanza pubblica, del mantenimento delle garanzie dello stato sociale e dell'equità del carico contributivo.

Dobbiamo assumerci tempestivamente le responsabilità che la nostra presenza in Europa comporta. Non dimentichiamoci che quelle responsabilità si protendono anche sul futuro dei nostri figli e aprino una questione morale di equità che va oltre gli stessi aspetti sociali.

Il rischio più grave è, a mio avviso, proprio questo: la mancanza di un intervento risolutivo sul tema delle pensioni può ingenerare un drammatico conflitto generazionale. Le nuove generazioni potranno addebitare all'insensibilità di quelle che le hanno precedute la responsabilità di un futuro precario ed incerto, governato da regole ingiuste e penalizzanti.

Un altro tema che ritengo ineludibile è quello della flessibilità del mercato del lavoro. Ne hanno colto lucidamente l'importanza centrale il professor Marco Biagi ed i riformisti come lui, che ne hanno fatto negli ultimi anni una delle questioni centrali del dibattito politico sui temi dell'occupazione, al di là degli schieramenti di rispettiva appartenenza. Non siamo di fronte ad un problema che appartiene alla maggioranza o all'opposizione: è la classe dirigente del Paese che deve farsene carico con determinazione e senso di responsabilità.

E' dunque con particolare soddisfazione che possiamo salutare l'approvazione da parte del Parlamento della legge n. 30 del 2003 - la cosiddetta "legge Biagi" - che appresta in questa direzione un complesso articolato di strumenti, dalla cui attuazione i lavoratori italiani potranno disporre di più opportunità, senza rinunciare al necessario livello di sicurezza.

Sul piano delle regole del conflitto sociale emergono segnali preoccupanti. In un momento in cui l'Italia è sempre più impegnata ad integrarsi in un'Europa che si rinnova, appare inammissibile un comportamento come quello di ricorrere in massa alla presentazione di certificati medici per condurre un'azione di chiara natura rivendicativa.

Tale comportamento è stato volto ad eludere l'applicazione della legge che disciplina l'esercizio del diritto di sciopero e lo contempera con i diritti costituzionali di tutti gli altri cittadini. Ha inoltre oggettivamente posto in grave, ulteriore difficoltà un'azienda di rilievo strategico ed ha finito per gettare discredito sull'intero sistema Paese. Non ha rispettato quella base di lealtà e correttezza reciproca che deve contraddistinguere i rapporti di lavoro in una democrazia avanzata come la nostra.

All'auspicata ripresa del dialogo tra le forze politiche sulla strada obbligata delle riforme deve corrispondere un dialogo aperto e costruttivo - anche acceso, ovviamente - tra le imprese e le parti sociali, che lasci definitivamente alla spalle la convinzione di poter procedere a colpi di referendum.

C'è ancora l'esigenza di proseguire nel risanamento della finanza pubblica ed al miglioramento della macchina burocratica, non solo in termini di snellimento, ma anche di radicale cambiamento della mentalità amministrativa: è tempo di superare l'automatica identificazione tra burocrazia ed ingessamento dello sviluppo dell'impresa.

Vorrei infine soffermarmi su una riflessione di ordine generale.

Si parla di rilancio della competitività economica del Paese e di incremento della produttività. A nessuno può sfuggire la gravosità del peso che, sotto questo aspetto, ricade sulla rete delle imprese italiane in termini di capacità di reagire e di innovarsi continuamente. La strada della creatività e dell'adeguamento costante alle sollecitazioni del mercato globale è una strada difficile e costosa: in termini di efficienza tecnologica, di disponibilità di risorse, di investimento nella ricerca e nella formazione, di costante esposizione al rischio.

Questi sforzi vanno sostenuti: con la leva fiscale, ad esempio, ma anche con la razionalizzazione e la semplificazione dell'accesso al credito; è necessario un dialogo più trasparente tra il sistema bancario - che pure, al pari degli altri attori, non mi sembra esente da responsabilità - e le imprese, che punti soprattutto a valorizzare le idee realmente innovative. Un sostegno efficace passa ancora per la cooperazione tra università ed impresa e l'accesso ai più avanzati serbatoi di conoscenze, ma anche attraverso la riqualificazione della manodopera.

C'è insomma bisogno anche di una politica che si faccia carico di garantire un equo bilanciamento dei rischi sostenuti dalle imprese e che ne agevoli il contributo allo sviluppo del Paese.

Sul piano degli incentivi agli investimenti, negli ultimi giorni sono emersi segnali che non possono essere lasciati cadere. Mi riferisco alla posizione del Presidente del Consiglio dei ministri, che - nel riaffermare l'impegno del nostro Paese al rispetto dei vincoli imposti dall'Unione economica e monetaria - ha segnalato l'opportunità di aprire una discussione serena a livello europeo sulla possibilità di garantire comunque nuove opportunità per gli investimenti, soprattutto in un periodo di stagnazione come quello odierno. Parimenti, va in questa direzione l'abbassamento del tasso ufficiale di sconto deliberato proprio ieri dalla Banca centrale europea.

Su questa posizione dell'onorevole Berlusconi invito tutti ad un confronto costruttivo e serio.

E' tempo di passare dal confronto politico e sociale sui temi della flessibilità e della competitività dell'Italia ad interventi concreti che siano in grado di suscitare fiducia: in altre parole, suscitare la convinzione diffusa che dare spazio alle imprese significhi dare più spazio al lavoro e ad una maggiore ricchezza per tutti.

La fiducia è forse la risorsa più importante per un Paese, in quanto è essa stessa un moltiplicatore rispetto a tutte le altre. Senza la fiducia degli imprenditori e verso gli imprenditori è improbabile che possa esservi fiducia tra i consumatori e che quindi si possa avviare quella ripresa che possiamo e dobbiamo conseguire.

Sono certo che dai lavori di questo Convegno, che prevede il contributo di prestigiosi esponenti del mondo della cultura, della società e delle istituzioni, coloro che esercitano le responsabilità della decisione politica sapranno trarre indicazioni importati in questa direzione.