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Commemorazione di Piero Bargellini nel venticinquesimo anniversario della scomparsa

Commemorazione di Piero Bargellini nel venticinquesimo anniversario della scomparsa
Firenze, 14 marzo 2005

Desidero innanzitutto rivolgere il mio saluto al Sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, alle altre autorità presenti e a tutti gli intervenuti.

Un saluto ed un ringraziamento particolare desidero esprimere al senatore Ivo Butini, presidente dell'Istituto Renato Branzi, per avermi invitato alla cerimonia odierna, cui sono sinceramente lieto di prendere parte.

La figura e l'azione di Piero Bargellini si legano istintivamente, nell'immaginario collettivo, a quel fatidico 4 novembre 1966 in cui egli, il "sindaco dell'alluvione", diede una prova straordinaria di amore per la sua città, facendo fronte in modo eccezionale ad un'emergenza che nessuno avrebbe mai immaginato di dover sostenere.

A quell'immagine di Bargellini con gli stivali immersi nel fango - decisamente provato ma con una forza d'animo travolgente - tutti noi siamo profondamente affezionati e credo che, ad essa, la memoria di molti fiorentini torni spesso con grande nostalgia.

E' quella un'immagine densa di significato: lungi dal voler ridurre l'intenso percorso esistenziale di Bargellini a quella esperienza, credo però che nel modo in cui egli seppe viverla possiamo riconoscere con immediatezza i tratti essenziali della sua persona.

Come spesso accade infatti, di fronte agli eventi eccezionali emergono con più vigore le doti e il carattere di ogni persona. E davanti alla prova di quella catastrofe Bargellini diede realmente il meglio di sé, mettendo a disposizione della città quella sua eccezionale forza d'animo e quel suo grande senso pratico che furono gli elementi forse più rappresentativi del suo carattere.

Una forza d'animo - la sua - che nasceva da una fede granitica, limpida e serena, che illuminò tutta la sua esistenza e che lo guidò in ogni situazione cui la vita lo chiamò.

Bargellini non fu un politico di professione. Non fu lui a proporsi come sindaco della città, come non fu lui a caldeggiare la sua candidatura prima al Senato e poi alla Camera dei deputati nelle fila della Democrazia Cristiana.

Così come di Bargellini non può dirsi semplicemente che fu uno scrittore brillante di arte e storia fiorentina o un uomo di cultura.

Prima di tutto - ed in ogni cosa - egli fu un profondo cattolico, che ebbe un grande senso del servizio e della libertà cristiana.

In gioventù fu il "Frontespizio", la rivista da lui fondata, ad assorbire lo scrittore lucido ed appassionato, che vide in quel giornale non solo un canale per partecipare al dibattito letterario e artistico italiano, ma soprattutto un mezzo per far sentire la voce dei cattolici nel mondo della cultura, che per molto tempo ne era rimasta esclusa.

Nei dieci anni in cui diresse la rivista -fondata nel delicato anno del Concordato - egli provò a scuotere le coscienze dei cattolici, invitandoli a non chiudersi in sé stessi, a non tirarsi indietro in un mondo dominato dalle ideologie, ma ad agire serenamente nella società, confortati dal chiaro e limpido messaggio della Chiesa.

Si trattò forse, in alcuni casi, di un approccio semplificato alla realtà. Ma l'opera di Bargellini costituisce comunque una testimonianza significativa di come una parte del mondo cattolico liberale iniziò a dialogare con la società, trattando temi nuovi che fino ad allora erano considerati parte di quella 'modernità' con cui sembrava ancora a molti difficile confrontarsi. E' questa una lezione che resta viva ancora oggi.

Nei primi anni della nostra giovane Repubblica, fu poi nella Democrazia Cristiana che egli si sentì chiamato, come cattolico, a portare il suo contributo.

Di questa coscienza profonda dell'impegno civile e politico del cristiano egli diede una prova speciale come appassionato amministratore della sua amata Firenze, della quale egli conosceva ogni vicolo, ogni piazza e che, negli anni accanto a La Pira, contribuì a far fiorire sul piano culturale ed artistico.

Prima ancora di divenire per pochi mesi il "sindaco dell'alluvione", Bargellini aveva saputo dare molto alla sua comunità, instaurando con essa un rapporto franco ed aperto grazie a quella sua capacità straordinaria di rivolgersi a tutti con cordialità e naturalezza.

Egli seppe infatti parlare davvero con le persone, con la sua gente, capirne i bisogni e le propensioni. Seppe proteggere la città nel momento del bisogno come un grande padre di famiglia, riuscendo a fare leva su "quella forza antica di ogni fiorentino" di cui andava giustamente fiero.

Oggi si ha nostalgia di figure così forti come Bargellini, che ebbero chiara l'idea di bene comune, appresa nella lezione della dottrina cattolica, e così desiderosi di dedicarsi alla vita politica per solidi motivi ideali.

Così egli scrisse in una lettera aperta agli elettori, nel lontano 1972, per spiegare le ragioni della sua nuova candidatura alla Camera che il partito gli proponeva: "Ho acconsentito, anzi ho obbedito; con la speranza che il mio gesto fosse di esempio, in un momento drammatico della vita politica italiana, nel quale le preferenze personali e gli interessi privati devono cedere il passo alle esigenze generali e alle necessità nazionali".

E Bargellini questo impegno per la vita politica nazionale riuscì a portarlo sempre avanti con grande fermezza, ma senza retorica, anzi con quella spiccata ironia tipica di ogni fiorentino, che guarda alle cose essenziali e si prende bonariamente gioco del resto.

Oggi purtroppo non è facile riscontrare nella vita pubblica quella stessa tensione ideale. Viviamo in un tempo in cui le logiche degli interessi personali sembrano prevalere su quelli della collettività; un tempo in cui gli amministratori incontrano difficoltà nel trasmettere ai propri concittadini l'emozione per le battaglie vinte o il coraggio nell'affrontare nuove sfide per il bene del Paese.

Bargellini può costituire dunque un punto di riferimento per chi si cimenta nel difficile compito di amministrare una città, per quel suo stile particolare nell'affrontare i problemi, nel cercare il calore e la fiducia della gente e per quella capacità che ebbe di esser sempre animato da solidi principi e da una fondamentale dose di buon senso.

Ma ci invita alla riflessione anche un altro aspetto tipico della sua umanità: Bargellini, che affiancò La Pira negli anni in cui il "sindaco santo" godeva di un consenso ampio e diffuso, seppe restargli vicino anche quando le sue sorti cominciarono a declinare.

E' questa la testimonianza di un sentimento di amicizia e lealtà che spesso nel mondo politico si fa fatica a trovare e che invece in quelle due persone, pur così diverse, ma unite dagli stessi grandi principi, riuscì a prevalere anche al di sopra della dura logica - pure legittima - della competizione e dello scontro personale.

Se si riuscisse oggi a recuperare questo valore nella vita politica, sono certo che la qualità democratica del Paese ne trarrebbe un giovamento straordinario.

E' per tutto questo che credo non sia esatto definire Bargellini come un impolitico "tout court" - come pure alcuni hanno fatto. Egli ebbe semplicemente un modo personale di fare politica, legato al suo carattere ed illuminato da un senso religioso della vita alimentato da una naturale fiducia nella comunità umana.

Ricordare Bargellini oggi significa dunque soprattutto ritrovare il senso di una politica ispirata a grandi contenuti ideali, e allo stesso tempo vicina alla gente, concreta e coraggiosa.

Una politica che egli seppe vivere sempre con quella onestà intellettuale e morale che, come disse il suo vecchio collaboratore del "Frontespizio" ed amico di una vita, Carlo Bo, resta la sua più grande lezione per tutti noi.