Cerimonia in occasione del sessantesimo dell'ANCE
Roma, 14 marzo 2006
Saluto e ringrazio il Presidente dell'ANCE, Claudio De Albertis, per avermi invitato a condividere con voi questa ricorrenza così significativa per il vostro sodalizio. Saluto con lui il senatore a vita Giulio Andreotti, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Pietro Lunardi, il sindaco di Roma, Walter Veltroni, le altre autorità presenti e tutti gli intervenuti.
L'anniversario che oggi celebriamo ci rimanda ad un tempo tormentato: sessanta anni or sono, il Paese aveva appena avviato il processo che avrebbe condotto alla nascita delle Istituzioni democratiche; era attraversato da contrapposizioni ideologiche aspre; portava impressi sul suo volto tutti i tragici segni della devastazione causata dalla guerra.
Uno scenario drammatico, nel quale tuttavia le energie degli italiani non si dispersero negli egoismi e nei particolarismi. Anzi, fu proprio la coscienza dell'enormità dello sforzo da compiere a suggerire una via comune: la via di condividere le conoscenze, le risorse morali e le capacità professionali in grado di sostenere l'iniziativa dei singoli e di moltiplicarne i risultati.
Su questa tensione, su questa voglia di progettare e di lavorare assieme affonda le sue radici la vostra associazione, che ha contribuito da protagonista all'impegno immane della ricostruzione postbellica e, di lì a pochi anni, si è rivelata un fattore trainante del miracolo economico italiano.
Ricostruire il patrimonio abitativo significò per gli italiani ricostruire la fiducia in se stessi, nelle capacità di decidere del loro avvenire facendo leva sulle proprie forze e sulla propria volontà. Fu soprattutto una grande dimostrazione di responsabilità, una mobilitazione civile prima ancora che economica.
In quel fermento, la politica e le Istituzioni non restarono inerti. Il primo quadro di riferimento per quella nuova tensione progettuale venne fissato dal Parlamento con l'approvazione della legge che oggi ricordiamo come "piano Fanfani".
Gli atti parlamentari ci hanno consegnato un dibattito inteso, accesso, appassionato, che si giovò del contributo di protagonisti eccezionali. Mariano Rumor e Giuseppe Di Vittorio, relatori per la maggioranza e di minoranza; Amintore Fanfani, allora Ministro del lavoro ed ispiratore del piano, che seguì l'esame parlamentare con le armi del temperamento, della competenza tecnica, della forza delle idee.
La discussione parlamentare su quel provvedimento resta ancora oggi un esempio prezioso di vitalità democratica. I contrasti fra le forze politiche furono veementi; si confrontarono indirizzi di politica economica e sociale radicalmente divergenti; all'interno della stessa maggioranza parlamentare non mancarono discussioni di grande vivacità.
Eppure, in un contesto intriso di conflittualità così vive, si lavorò mantenendo ben saldo il riferimento agli interessi del Paese; si operò per rispondere alle domande dei cittadini ascoltando le voci di tutti, ricercando il consenso più ampio non solo delle forze politiche, ma anche degli operatori del settore e delle categorie professionali interessate; infine, si ebbe il coraggio di decidere.
Sono convinto che i risultati positivi che seguirono a quell'esperienza, al di là dei dati tecnici o economici, possano ricondursi ad una ragione di fondo comune: la presenza di un'idea forte, di un progetto coerente, di una visione ampia e di lungo periodo su cui raccogliere le energie del Paese.
E proprio di questo abbiamo bisogno oggi, a fronte del dato preoccupante della crescita zero e della difficoltà che il "sistema Italia" manifesta nel rispondere alle logiche dell'economia globalizzata: di una nuova, grande visione strategica, che rilanci il cammino intrapreso negli ultimi anni attraverso un supplemento di coraggio e di senso di responsabilità.
In questa visione, l'industria delle costruzioni deve avere un posto centrale, coerente con il ruolo di traino della crescita del Paese che essa ha sempre svolto. Lo ha fatto in modo spesso convulso, talvolta controverso, ma senza mai tirarsi indietro nei momenti in cui più difficile è stato fare impresa ed affrontarne i rischi e le incertezze.
Sul vostro settore si sono scaricate alcune delle più laceranti contraddizioni che hanno rallentato lo sviluppo italiano.
Da anni sentiamo ripetere che uno dei fattori che più gravano sulla nostra competitività è il deficit infrastrutturale del Paese. In questa legislatura, questo problema è stato affrontato seriamente: nel campo delle grandi infrastrutture strategiche, il valore delle opere appaltate si muove nell'ordine del triplo di quanto sia stato realizzato nei dodici anni precedenti.
Eppure non mancano di riproporsi con una regolarità allarmante ostacoli e difficoltà frutto di un contesto culturale ideologizzato, inadeguato ad interpretare il presente.
Quando si opera concretamente per superare il divario delle nostre infrastrutture dal resto dell'Europa; quando si investono credibilità politica, capacità professionali e risorse finanziarie per agganciare l'Italia alle grandi reti di comunicazione continentali; quando si decide, insomma, di risparmiare al Paese un destino di marginalità e di subalternità, ecco che l'opposizione di un gruppo organizzato, di una comunità locale o di una categoria produttiva blocca progetti e cantieri. E non importa se la comunità nazionale ne riceve un danno e se ciò significa accettare di imboccare mestamente la strada del sottosviluppo.
Ovviamente, i punti in sofferenza non riguardano solo le grandi infrastrutture strategiche. Da troppo tempo, ad esempio, manca in Italia una politica razionale e sistematica per la casa. Un versante su cui oggi è giunto il momento di prendere decisioni coraggiose, che rispondano alle domande pressanti poste dai cittadini e dalle imprese del settore.
Le soluzioni possono essere diverse. Le idee non mancano. Molto si può lavorare, soprattutto sul versante fiscale. L'ICI, ad esempio, resta l'unica imposta patrimoniale che il nostro ordinamento ancora conosca.
Passare da un'imposizione sugli immobili legata al loro valore ad un'imposizione di tipo reddituale, conforme al principio generale della progressività e della capacità contributiva, è un obiettivo che merita attenzione ed impegno. E lo sono ugualmente la proposta di assoggettare i redditi da locazione a forme di tassazione separata, così come l'idea di introdurre deduzioni per i canoni di affitto che possano agevolare gli inquilini e determinare, nel contempo, effetti antievasivi virtuosi per l'equilibrio della finanza pubblica.
Non è questa ovviamente la sede per entrare nel dettaglio. Ma è senza dubbio la sede per rinnovare l'impegno comune delle Istituzioni e dell'industria delle costruzioni nell'interesse del Paese.
Ho vivamente apprezzato l'intervento del Presidente De Albertis, soprattutto nel passaggio in cui ha affermato, con grande chiarezza, che i costruttori italiani sono disposti a lavorare per il Paese; che intendono impegnarsi concretamente nel far convergere le proprie, legittime aspettative di imprenditori con le altrettanto legittime aspettative dei cittadini.
Modificare il nostro territorio nel rispetto dell'ambiente, del paesaggio e delle comunità che lo animano, assicurando allo stesso tempo l'ampliamento delle opportunità ed un benessere diffuso; rendere le nostre città più vivibili, più accessibili i servizi, migliori le condizioni abitative.
Sono tutti obiettivi che è possibile raggiungere. Ma è possibile farlo solo muovendosi tutti nella stessa direzione e professando nei fatti l'etica severa del lavoro e della responsabilità.
In questa direzione, il presidente De Robertis è disposto ad investire il patrimonio di entusiasmo, di serietà e di capacità imprenditoriale custodito dall'ANCE. A chi riveste responsabilità pubbliche il compito di cogliere questo segnale e di tradurlo in comportamenti virtuosi, in grado di restituire all'Italia la posizione che le compete nel consesso internazionale e di assicurare agli italiani un futuro di crescita e di sviluppo.